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La grande spaccatura con i giovani

Il dovere della politica è di fornire alle nuove generazioni i mezzi e un solido avvenire, ma ignora  il problema

Redazione di Redazione
12 Giugno 2025
in "Finestra sul mondo" di Ennio Caretto, Cittadina, Cronaca, Prima Pagina, Primo Piano
Ennio Caretto scrive per La Vita Casalese

Ennio Caretto

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Mezzo secolo fa, il mondo cambiò per il meglio grazie anche ai giovani. La protesta giovanile, ora pacifica ora violenta, iniziata in sordina nel 1964 nelle università americane, esplose in Europa nel 1968 modificando se non sovvertendo l’ordine costituito dopo la Seconda guerra mondiale. Nella storia, quasi mai un movimento di ventenni, la nuova generazione, aveva così scosso la politica e le istituzioni nazionali e mondiali. Ma contestando l’autorità dello Stato, il partitismo, il complesso militare, industriale e finanziario, le guerre, il razzismo e quant’altro, gli universitari, gli obiettori di coscienza e i cosiddetti “figli dei fiori” costrinsero la politica ad adottare importanti riforme socio economiche in un crescente rispetto dei diritti umani e civili. Nel giro di un decennio se ne videro i frutti, dai progressi della democrazia e del benessere in molti Paesi occidentali alla distensione tra gli Usa e l’Urss e alla marcia dell’Europa verso l’unificazione. I protagonisti del movimento, dal cantautore americano Bob Dylan al rivoluzionario francese Daniel Cohen Bendit, non riuscirono a promuovere una rivoluzione. Ma i più anziani di noi ricordano che attorno al 1975 il mondo divenne più equo e tollerante di quanto non fosse mai stato.

Una base di ideali condivisi

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Una rivoluzione che spaventa

Sebbene spesso criticata e a volte repressa per i suoi eccessi, quella rivolta fu ispirata da istanze e ideali condivisi dalla maggioranza dei giovani nelle Nazioni più diverse, incluse quelle del blocco comunista. E oggi, quando l’Occidente attraversa uno dei suoi periodi più difficili e contraddittori, in cui per superarlo avrebbe bisogno anche di un forte movimento giovanile, il suo ricordo accresce l’apprensione che da anni nutriamo per le ultime generazioni. Sì, esistono dei loro movimenti ma sono settoriali, da quello dei “pride” a quello dei filopalestinesi, e mancano della coralità e della forza del movimento di mezzo secolo fa. Di fronte alle sfide delle nuove tecnologie e oligarchie e a una crisi della socialdemocrazia che potrebbe risuscitare ovunque sepolte dittature, troppi giovani si estraniano dalla politica e rinunciano a una loro identità culturale. La Generazione Z, grosso modo quella dai 16 ai 29 anni, per gli istituti di ricerca, sembra alla ricerca della socialità ma è in realtà assorbita dalla propria persona. Sociologi e psicologi parlano di una crisi della nostra gioventù e ne cercano le cause oltre che nella famiglia, nella scuola, nei social e nel consumismo anche nella politica. Giustamente, come vedremo.

Domande inquietanti

Sempre più inquietanti sono le domande che ci poniamo sui giovani in base ai dati degli istituti di ricerca. Perché cresce tra di loro il bullismo sia maschile sia femminile? Perché troppi girano con il coltello in tasca? Perché serpeggiano l’istigazione al suicidio e alla prostituzione? Perché si prende droga per non restare emarginati? Perché si aggrediscono gli insegnanti in classe? Perché a 12 o 13 o a 14 anni ci si fidanza? Perché i diversi per etnia, sesso o chissà che vengono bastonati? Perché il metro di misura è la “mascolinità tossica” come la chiamano gli psichiatri, la supremazia poggiante sulla violenza fisica o mentale? Senza dubbio, si tratta di una minoranza, la maggioranza dei nostri giovani è sulla retta strada, e senza dubbio il problema è ingigantito dalla varietà dei media e dalla falsità di alcune informazioni. Ma è una minoranza che aumenta, un problema che incominciamo a pagare in troppe vite umane, soprattutto femminili, e va affrontato. Lo scontento, la paura, persino la rabbia giovanili sono sempre esistiti, ma non si erano mai manifestati su questa scala. Un tempo, i cosiddetti ragazzi di buona famiglia si comportavano bene, il problema era la delinquenza minorile organizzata. Oggi non è più così. 

Abbandonati dalla politica

Le ricerche più interessanti in corso sono quelle sulla politica. I dati indicano che nelle democrazie liberali la maggioranza dei giovani si vede abbandonata da esse e di conseguenza si sposta a destra o all’estrema destra. Le ultime elezioni nei Paesi membri dell’Ue confermano questa tendenza, che potrebbe segnare la nascita di un movimento giovanile anti sistema. Alle presidenziali in Polonia il 60 per cento dei giovani dai 18 ai 30 anni ha votato per il destrorso Nawrocki e in Portogallo una percentuale di poco inferiore ha votato per il Chega, partito accusato di neofascismo. La Germania aveva dato l’allarme l’anno scorso, quando un giovane tedesco su tre si era schierato per l’AfD, che è accusato di neo nazismo, ma ha fatto eccezione la Romania, dove ha vinto a sorpresa il candidato centrista Dan. E’ chiaro tuttavia che in Occidente il centrosinistra è in netta ritirata tra i giovani. E infatti il novembre scorso in America Trump ottenne il 46 per cento dei loro voti e il 67 per cento dei voti dei giovani bianchi. Anche nella collaudata democrazia inglese, che peraltro ha assegnato il potere al laburista Starmer, il 72 per cento delle ultime generazioni denuncia il sistema e il 25 per centro si pronuncia a favore di una dittatura.

Il sistema in discussione

Il fenomeno è particolarmente accentuato in Europa dove l’estrema destra è al governo in Belgio, in Slovacchia e nei Paesi Bassi e potrebbe esserlo anche nella Repubblica Ceca il prossimo autunno, e dove le destre dell’ungherese Orban e  della Meloni stanno emergendo a Bruxelles. Secondo la Vrije Universiteit belga la causa è il risentimento che la gioventù nutre verso la socialdemocrazia. “Se sentite che la vita vostra, della famiglia e degli amici non migliora – è scritto nel rapporto – è logico che mettiate il sistema in discussione. Inoltre molti giovani ritengono che i governi li trascurino per fare gli interessi dei migranti a cui sono in prevalenza ostili”. La concausa stando all’istituto polacco Wazne Sprawy (Questioni importanti) sono i social “capaci di usare un linguaggio politico diverso e di avanzare proposte semirivoluzionarie”. Con la loro presa su un pubblico al di sotto dei 34 anni e con le loro opinioni sovraniste ed euroscettiche “essi incarnano un cambiamento generazionale di cui non possiamo prevedere gli effetti”. In altre parole, in genere i politici tradizionali hanno perso il contatto con i giovani, non sanno più comunicare con essi e non riescono a prospettare loro un futuro costruttivo e gratificante.

Democrazia sotto accusa

Il paradosso è che le ultime generazioni si rendono conto di essere in crisi e di reagire sovente nel modo sbagliato. La Glasgow University scozzese ha riscontrato che due ragazzi su tre di entrambi i sessi condannano la “mascolinità tossica” dominante nelle loro relazioni e che due ragazzi su tre credono che l’uso dei social debba essere vietato ai minori di 16 anni. Ma al tempo stesso due su tre pensano che oggi la democrazia non unisca bensì divida gli elettori e non tuteli i bisognosi e i deboli, e due su tre dichiarano di diffidare delle istituzioni “perché sanno di regime”. Il messaggio non potrebbe essere più esplicito. La gioventù chiede aiuto, non vuole incastrarsi in un’esistenza inutile o peggio distruttiva. E il dovere della politica è di fornirle i mezzi e la certezza di un solido avvenire. E’ incomprensibile che il problema giovanile venga ignorato, come sta accadendo anche in Italia da dove i ragazzi più brillanti fuggono per non sprecare le loro qualità, e che la politica si perda in diatribe di partito, elucubrazioni dottrinali, odi personali e via di seguito. Il futuro della Nazione dipende da loro, non dal flusso o non flusso dei migranti, tanto meno dall’accettazione o dal rifiuto della controversa “cultura woke”.

Le colpe della famiglia

E la famiglia e la scuola? Non sono esenti da critiche, la famiglia soprattutto. E’ inammissibile che un genitore assalga il maestro o l’arbitro di una partita di calcio che hanno punito meritatamente suo figlio o figlia, o che lo nasconda alla legge se ha commesso un reato. Se li ama veramente e se è sorretto dalla fede cristiana a cui appartiene, il genitore sente l’obbligo di instillare nel figlio o figlia autodisciplina, senso del dovere, empatia, comprensione da un lato e di verificarne la condotta fuori di casa dall’altro. I figli hanno i loro diritti, ma la disobbedienza ai genitori e la sottrazione ai loro controlli non rientrano tra di di essi. Garantismo, relativismo e tutti gli altri ismi di cui certi politici si riempiono la bocca non hanno nulla a che vedere con la sana crescita di un ragazzo o una ragazza. 

Promesse non mantenute

Famiglia e scuola sono chiamati a formare un asse su cui ruoti la politica dei nostri governi sulla gioventù, a premere sui sindaci, i governatori, i parlamentari, i ministri affinché adottino provvedimenti ed emanino leggi che ne garantiscano la sicurezza e lo sviluppo delle loro doti. Le promesse elettorali non mantenute, di cui testimoniamo da tempo, sono un inganno, il fattore che più aliena i giovani dalla nostra società

Un accordo possibile

La crisi giovanile è un problema su cui il centrodestra e il centrosinistra italiani potrebbero trovare facilmente un accordo. Non è una questione di partito, di ideologia, di bilanci dello Stato o delle Regioni o dei Comuni. Dopo la fame e gli stenti di cui soffrono milioni di noi, e di cui non si parla abbastanza, è il problema più trascurato del Paese. Non aiutare i giovani a diventare probi cittadini e a ricondurli alle urne non è solo un errore è anche una vergogna. 

Ennio Caretto

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Tags: Carettogiovanipolitica
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