“Perché un Papa polacco?” fu la domanda che mi posi quarantasette anni fa all’elezione del cardinale Wojtyla. Il tempo mi diede la risposta. Perché l’Occidente, la culla del cristianesimo, e con esso i Paesi terzi erano minacciati dall’aggressivo comunismo ateo dell’Urss, del cui impero la Polonia costituiva una provincia. Il Papa polacco, che nella fede cristiana e nella sua diffusione vedeva la forza motrice della libertà e della giustizia, fu ritenuto il più adatto ad arginarlo perché più di tutti a conoscenza dei suoi metodi ed eccessi. E infatti non solo lo arginò in quello che oggi si chiama il Sud Globale con i suoi 104 viaggi e con la mobilitazione della gioventù, ma lo indebolì nell’intero Occidente con il suo apostolato. L’Urss crollò, l’Europa si riunificò, la Chiesa di Roma assurse a portatrice di pace. Senza papa Wojtyla la Guerra fredda non avrebbe avuto fine e saremmo tuttora sotto l’incubo dell’Olocausto atomico. Come Paolo VI a cui spesso si ispirò, Giovanni Paolo II, che ebbi modo di seguire in due dei suoi viaggi, dimostrò che il Papato non è anche un partito ma è la bussola morale della società e della politica.
Occidente da risollevare
“Perché un Papa americano?” è la domanda che mi sono posto la settimana scorsa all’elezione del cardinale Prevost. La risposta me la darà il tempo. Ma la mia impressione è che il Papa americano sia parso il più capace di risollevare un Occidente negli ultimi anni alla deriva a causa dei contrasti religiosi e politici interni, a causa delle aggressioni esterne dell’Islam e dell’asse Mosca-Pechino, e, diciamolo pure, a causa del trumpismo. Un Occidente a rischio di scristianizzazione, come indica il calo delle vocazioni, per colpa della rivoluzione tecnologica e dei traumatici sisma culturali da essa provocati. Leone XIV, emerso dalla nazione che più di tutte condiziona il nostro nuovo mondo, ha detto esplicitamente che è blasfemo considerare Cristo solo “un superuomo” e che davanti a lui tutti “dobbiamo scomparire”. Lungi dal rappresentare un ribaltone del bergoglismo, la scelta di Prevost, che ha promesso “ponti e dialogo”, ne è stata la conferma in una forma più moderna e centrista. Il Pontefice è chiamato da un lato a contenere le ideologie che minacciano la fede e dall’altro a guidarci alle nuove frontiere o “rerum novarum”.
L’intelligenza artificiale
Giovanni Paolo II rispose sostanzialmente alle tradizionali sfide religiose e geopolitiche del secolo passato. Ma oltre che a esse, Leone XIV dovrà rispondere alle nuove sfide di questo secolo, dai “social” all’intelligenza artificiale, da lui citata espressamente, dal discusso movimento “woke”, il risveglio dei diversi, all’esoterismo se non anche paganesimo crescenti tra i giovani. Sono sfide epocali, come quella del lavoro e della dignità umana a cui nel 1891 fece fronte Leone XIII, il Papa a cui si inspira, enunciando la dottrina sociale della Chiesa. Il conclave ha identificato in Prevost, pastore agostiniano della gente comune e al tempo stesso matematico a suo agio nel mondo digitale, il Pontefice più preparato a ricalcarne le orme e a relazionare la fede con le più alte tecnologie. L’attuale secolo delle macchine pensanti è tra i più pericolosi della storia, lo è ancora di più del secolo scorso delle bombe atomiche, e non sarà facile preservarne e migliorarne il volto umano che a ottant’anni dalla fine della Seconda guerra mondiale stiamo cercando di conferirgli. Ma l’autorità etica dei Papi ha sempre mobilitato ogni esseri di buona volontà.
L’esempio più che le regole
Come ci ha ricordato quotidianamente Francesco I si tratta di anteporre la persona, la sacralità della sua vita nonché istituzioni fondamentali come la famiglia a qualsiasi altra cosa. Cardinali e Vescovi devono uscire dalle mura vaticane e trasmettere la certezza della fede con l’esempio più che con le regole della Curia. Qualcuno ha osservato che la tradizione di eleggere un Papa italiano è terminata, ma da un secolo e mezzo il Vaticano non è più un regno temporale, e il cristianesimo è universale per definizione. Un nuovo Papa italiano verrà eletto prima o poi, e nel frattempo la Chiesa di Roma spingerà la politica a porre rimedio almeno parziale “all’ira dei poveri” come ammoniva Paolo VI, alle privazioni dei migranti e alle altre tragedie che affliggono l’umanità. Papa Prevost si è prefisso di impedire che le macchine esautorino gli umani e di adoprarsi perché vi sia pace “per tutti, tutti, tutti”, come ha perorato pubblicamente, il che significa garantire più sicurezza alle nostre esistenze oltre che terminare ogni guerra. Occorre nutrire fiducia in lui, come la nutrimmo in papa Bergoglio e nei Pontefici che lo precedettero.
Il trumpismo
La prima sfida geopolitica a Leone XIV è quella del trumpismo. Ad alcuni media europei è sfuggita la pressione che Trump sta esercitando sui Cardinali, Vescovi e cittadini cattolici americani per farne strumenti delle sue manipolazioni, come è sfuggita la sua strategia di smembrare l’Occidente per ottenere il monopolio delle sue economie, e come è sfuggita la sua pianificazione di un capitalismo selvaggio. Eleggendo Prevost Papa, il Vaticano ha segnalato al Presidente che sì, alle urne lui ha vinto il voto dei cattolici il novembre passato, ma non ha vinto il cattolicesimo “vibrante davanti all’ingiustizia”, e che i diritti umani e civili vanno tutelati, al pari dell’ambiente, e gli emarginati e i deboli vanno soccorsi. Trump ha definito “un grande onore” l’elezione di un Papa americano ma alcuni trumpisti hanno già bollato Leone XIV come “un burattino marxista” e uno dei loro leader, Steven Bannon, ha protestato che “la Chiesa profonda ha scelto il peggio”. Il Pontefice cercherà probabilmente di rendere il cattolicesimo un punto di riferimento per gli Usa, che hanno trascorsi antipapisti ma sono stati il perno dell’Occidente.
L’asse Putin-Xi Jinping
La seconda sfida è quella dell’asse Mosca-Pechino. Il presidente cinese Xi Jinping ha auspicato “un rapporto costruttivo” con papa Prevost e il presidente russo Putin si è detto fiducioso che con lui “il dialogo continui sulla base dei valori cristiani che ci uniscono”, una insolente impudenza vista la sua invasione dell’Ucraina. Ma di fatto essi sono due dittatori che in modo diverso, Xi con i commerci Putin con le armi, si espandono a danno degli altri Paesi approfittando della grave crisi di identità dell’Occidente, come i barbari nel quinto secolo, fermati tuttavia a Roma senza combattere né versare sangue da Leone I detto “Magno”. La strada da seguire in Cina, quella di farne una terra di missione, è stata ben tracciata su disposizione di Francesco I dal Segretario di Stato, il cardinale Parolin. La strada da seguire in Russia, quella di riavviarla alla democrazia come avvenne negli anni Novanta dello scorso secolo, comporta una costante mediazione con la Chiesa ortodossa russa oltre che con il Cremlino. Non a caso Leone XIV ha definito il cristianesimo “una arca di salvezza che naviga attraverso i flutti della storia”.
Ucraina e Gaza
Senza dubbio, la sfida a cui rispondere con maggiore urgenza è costituita dalle guerre che dilaniano il mondo, le più orrende delle quali sono in corso in Ucraina e a Gaza. E qui bisogna che a bordo dell’arca cristiana salgano anche le altre Chiese e le altre fedi che possono contribuire alla pace, una “pace disarmata e disarmante” come ha sottolineato il Pontefice, soprattutto quelle dell’Islam, e con loro salgano quei leader che stanno commettendo crimini contro l’umanità a cominciare dal premier israeliano Netanyahu e da Hamas. Non è possibile che nel terzo millennio tra le nostre progredite civiltà infurino guerre di religione, di etnie, di confini e via dicendo. Esse stanno costando centinaia di migliaia di vite umane, radendo al suolo città intere, generando odi ed epidemie, aggravando il traumatico problema dei migranti innescato inizialmente dalla fame, danneggiando l’ambiente e il clima. Punto quest’ultimo su cui si sono pronunciati sia Francesco I sia Leone XIV, due tra i primi Pontefici “verdi” per così dire, che nella qualità della vita includono non solo la mente il cuore e il corpo ma anche la natura.
In cerca di certezze
Sul Corriere della sera, l’editorialista Massimo Franco ha osservato che “adesso Trump è il secondo americano più noto”, e a ragione, perché per la gente comune, cattolici e non, Leone XIV è assai più importante del Presidente Usa. Molti popoli guarderanno più al Santo Padre, il quale offrirà loro certezze, che all’uomo più potente del mondo, che sinora ha offerto loro solo incertezze. Per motivi professionali, per i politici sarà diverso e dovranno badare sin troppo a Trump. Sarebbe bene però che tenessero presente l’invito di papa Prevost ai potenti, “si facciano piccoli”, e le sue critiche al vice presidente Vance, un cattolico ultraconservatore, e che seguissero l’insegnamento di Cristo, abbandonando le vanità personali e gli intrighi di palazzo. Per quanto concerne l’Italia, un tempo politici come De Gasperi e Moro si attennero a questi principi, e sarebbe una fortuna se i nostri attuali governanti li imitassero. Mi si conceda un po’ di innocente campanilismo: sono orgoglioso che Prevost, come Bergoglio, discenda da queste nostre laboriose terre.
Ennio Caretto