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Nel futuro c’è una sfida con la Cina

Con la politica ambigua del presidente Trump nei confronti di Pechino, diventa essenziale che l’Europa scenda in campo 

Redazione di Redazione
31 Luglio 2025
in "Finestra sul mondo" di Ennio Caretto, Cittadina, Cronaca, Prima Pagina
Ennio Caretto scrive per La Vita Casalese

Ennio Caretto

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David Brooks è uno dei più famosi editorialisti americani, un repubblicano moderato che sul New York Times affronta i più scottanti problemi internazionali. In uno dei suoi ultimi articoli, Brooks ha accusato il presidente Donald Trump di non capire che tra gli Usa e la Cina è in corso la Seconda guerra fredda dopo la Prima tra gli Usa e l’Urss, una Guerra fredda non armata bensì tecnologica, economica e culturale ma lo stesso cruciale. Essa è scoppiata all’ascesa al potere di Xi Jinping nel 2012-2013, ha precisato, ed è destinata a fare della Cina la massima superpotenza della storia dopo Cristo, come lo fu sino attorno al 1.500. Se la perdessimo, ha ammonito l’editorialista, come sta succedendo visto che Trump non la contrasta, l’America si ridurrebbe a una potenza secondaria. E l’Europa, ritengo di dovere aggiungere, decadrebbe a poco più di una colonia cinese perché l’Occidente si spaccherebbe in due. Trump non crede nell’Ue, la ritiene parassita e se ne libererebbe volentieri. E come lo zar russo Vladimir Putin, Xi non vede l’ora di “decouple” disfare l’accoppiata Washington- Bruxelles, attuale custode degli equilibri mondiali.

La scelta di Eisenhower

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Nel suo articolo, Brooks ha ricordato come l’America di un precedente Presidente repubblicano, il generale Ike Eisenhower, il vincitore della Seconda guerra mondiale, reagì al lancio in orbita del primo satellite artificiale, il russo Sputnik, nell’ottobre del 1957. Sorpreso e allarmato, nel giro di un anno Eisenhower creò l’agenzia spaziale Nasa e l’istituto di ricerca delle alte tecnologie Darpa. Il suo successore, il democratico John Kennedy, vinse la sfida sovietica alla conquista del cosmo, e con la conseguente cascata tecnologica condusse gli Usa ad eclissare scientificamente e militarmente l’Urss. Eisenhower e Kennedy, ha sottolineato Brooks, si resero subito conto che il dominio del mondo sarebbe spettato al Paese più innovatore. Essi portarono gli investimenti nell’high tech dal 3 al 16 per cento del bilancio federale e cooptarono i migliori cervelli stranieri. L’America aveva già agito così all’inizio dello scorso secolo, quando aveva costituito la Riserva Federale, e durante la Grande depressione degli anni Trenta e la Seconda guerra mondiale, quando il presidente Franklin Roosevelt aveva l’aveva rilanciata economicamente prima e riarmata poi.

Politica isolazionista

Cifre alla mano, l’editorialista del New York Times ha rinfacciato a Trump di avere indebolito non rafforzato l’America in risposta alla sfida cinese, che adesso rappresenta la minaccia più grave per l’Occidente, facendo scendere di nuovo gli investimenti nell’high tech al 3 per cento, mettendo in pericolo l’Alleanza Atlantica e abbracciando il protezionismo. E in realtà il Presidente americano anziché formare un fronte occidentale come lo formarono i suoi predecessori sta ereggendo muri e barriere contro tutti. E’ una politica isolazionista e suicida, e i dati lo dimostrano. Dal 2000 ad oggi, Pechino ha aumentato per 16 volte i fondi per la ricerca e lo sviluppo e ha superato l’America nella pubblicazione degli studi chiave sui settori più importanti dell’economia e delle tecnologie. Di più. Attorno al 2005, l’America era all’avanguardia in 60 dei 64 campi definiti di “high impact”, ossia di forte impatto scientifico ed economico, ma ora la Cina lo è in 57, l’America è scesa a 7. Se con un brusco voltafaccia Trump rilanciasse ora l’asse Washington-Bruxelles, l’America e l’Occidente si riprenderebbero e la Cina dovrebbe venire a patti con loro.

Il “potere morbido”

Lo scorso secolo, il dominio del mondo si basò sulla “hard power” o potere duro, quello militare, l’atomica, e l’ebbe l’America. Ma questo secolo, esso si baserà sulla “soft power” o potere morbido, quello economico, tecnologico e culturale, soprattutto sull’Intelligenza artificiale, AI nell’acronimo inglese (Artificial Intelligence). E da un sondaggio dell’istituto Ipsos la Cina è molto più entusiasta dell’America delle prospettive che la “soft power” offre. Lo conferma un più allarmante sondaggio della rivista Nature: oltre due terzi degli scienziati americani consultati si chiedono se lasciare o no il Paese e lavorare altrove. E’ il contrario di quanto è sempre accaduto, l’America era sempre stata la Mecca degli accademici stranieri che vi affluivano da tutti i continenti. E’ un segno di sfiducia della superpotenza in se stessa nell’era del trumpismo. Barack Obama, il suo primo Presidente nero, si era aperto alla Cina, senza però ottenere grandi risultati, definendola il “pivot” della sua politica estera (il pivot è il giocatore di pallacanestro che segna più punti). Trump le si è chiuso con la guerra dei dazi senza neppure incontrare Xi.

Assenteismo di Trump

L’assenteismo di Trump sulla sfida cinese è dannosissimo. Il Presidente ha appena annunciato che l’anno prossimo l’America abbandonerà l’Unesco, l’Agenzia culturale dell’Onu, lasciandola in balia dell’influenza di Pechino come se la “soft power” contasse nulla. Xi ne sta approfittando per tentare di “cinesizzarne” i regolamenti dall’istruzione pubblica nei Paesi membri all’intelligenza artificiale e alla storia universale. Ha nel mirino anche l’Italia che nella classifica del “World Heritage”, Eredità Mondiale, dei siti culturalmente più significativi precede la Cina di uno, 61 a 60. L’Europa quindi non può restare a guardare. Lo sa bene il capo della Commissione europea Ursula von der Leyen che la settimana scorsa si è recata in Cina nel cinquantenario dell’inizio dei rapporti con essa per chiarire a Xi che “è essenziale riequilibrarli”, dato che il nostro deficit commerciale annuo è di 300 miliardi di euro e che Pechino sta facendo il gioco di Mosca nella Guerra dell’Ucraina. Non che lei abbia ottenuto qualcosa di più di Obama. Il Presidente cinese ha risposto che “occorre rafforzare la fiducia reciproca… e astenersi da restrizioni commerciali”.

Un vertice a tre?

Perché la posizione di Trump è così ambigua? Perché dopo avere sparato ad alzo zero, per così dire, sulla Cina il Presidente americano è stato costretto a una precipitosa marcia indietro. Dalla imposizione di dazi del 145 per cento sui prodotti cinesi e dal divieto di fornire a Pechino “chips” o circuiti integrati per l’AI, Trump è passato a dazi del 35 per cento e alla concessione a essa di un tipo di “chips”, l’H20. Il motivo? Xi ha reagito bloccando le forniture di “terre rare” indispensabili all’America per i droni, i caccia più avanzati e altre armi, per le automobili, per talune attrezzature elettroniche e mediche e via di seguito. Trump, già inascoltato da Putin nel conflitto ucraino, ha subito un secondo smacco, cosa per lui inaccettabile. Cercherà perciò di recuperare terreno, forse in un vertice a tre a Pechino il prossimo settembre, quando la Cina celebrerà la fine della Seconda Guerra mondiale. Un tentativo di stipulare un trattato alla Yalta, una spartizione del mondo come quella di Stalin, Roosevelt e Churchill nel 1945, nell’ambizione di ricevere il premio Nobel per la pace, con una inevitabile marginalizzazione dell’Europa. 

La strategia di Xi

Resta da vedere che posizione assumerà Xi se si terrà il vertice. Il Presidente cinese si presenta non solo più ai “Brics”, i colossi emergenti, bensì all’universo intero come il campione della stabilità e della pace, l’alfiere della cooperazione per un nuovo ordine mondiale, il promotore degli scambi nei reciproci interessi. Implicitamente, segnala che è l’America di Trump a destabilizzarci, dal Medio all’Estremo Oriente, che bisogna contenerla. E’ pertanto dubbio che Xi gradisca la formazione di un triumvirato a reggenza della Terra, a meno che grazie a esso riesca a sostituire l’America come prima superpotenza. Xi ha seri problemi interni, con l’economia in particolare, che rischia ora l’inflazione ora la deflazione, ma sta seguendo la strada che gli permetterà di rendere assai più grande la Cina, mentre Trump ha imboccato quella che la renderà assai più piccola. Putin stesso corteggia l’erede di Mao Tze Tung, “il grande timoniere”. A Mosca luccicano cartelli con i suoi più famosi e poetici detti, come “Creare utilità al popolo è base immancabile nel governo dello Stato” o “Alzando una vela di nuvole spingiamoci nelle acque aperte”.

Il dovere morale dell’Europa

L’Europa si è già dovuta svegliare dal suo comodo sonno (grazie Trump?) per ciò che concerne la Nato e gli scambi economici e commerciali con l’America. E’ tempo che si svegli anche sulla sfida cinese (grazie Xi?), che a lungo termine sarà quella decisiva. Non deve consegnare ai nostri figli e ai figli dei nostri figli un Occidente diviso ed esaurito ma un Occidente unito e costruttivo. La Cina è ancora dittatura, noi siamo democrazia. In Cina i diritti umani e civili possono essere calpestati impunemente, da noi vengono fermamente tutelati. I popoli dei Paesi terzi aspirano ai nostri valori, che sono la solidarietà, l’eguaglianza, la tolleranza, la dignità della persona, e non a quelli imposti da Xi al popolo cinese dell’obbligo e della sudditanza. Tocca a noi europei ricordare agli americani, inclusi i trumpisti, che nonostante le sue mancanze l’Occidente, col sostegno della fede cristiana, ha migliorato la condizione umana più di qualsiasi altra civiltà nel corso dei millenni, e ha il dovere  morale di continuare a farlo. Trump rifletta sul passato: senza l’Europa l’America non sarebbe mai arrivata ad esercitare una leadership mondiale.

Ennio Caretto

  

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Tags: CarettoCinaEuropaTrump
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