CASALE – Mercoledì sera nella chiesa di Sant’Antonio il teologo mons. Franco Giulio Brambilla, Vescovo di Novara,ha presentato la seconda parte del suo approfondito studio sul Credo di Nicea, in occasione dei 1700 anni dalla sua promulgazione. Se nel primo incontro, avvenuto lo scorso 10 aprile, il presule aveva tracciato un’introduzione al contesto storico nel quale fu promosso il concilio di Nicea, con un’ampia trattazione sull’ origine battesimale delle principali varianti del Credo; nell’incontro di ieri, il teologo ha offerto una lezione di esegesi comparativa tra il Simbolo Apostolico in uso nella comunità di Roma tra II e III secolo e il Simbolo niceno – costantinopolitano, ovvero il Credo recitato abitualmente nella liturgia domenicale.
Proprio il Credo Niceno Costantinopolitano per aver inglobato al suo interno quasi interamente il Simbolo Apostolico, parte del Simbolo di Gerusalemme, il simbolo Niceno e alcuni elementi propri riguardanti lo Spirito Santo scaturiti dal Concilio di Costantinopoli del 381, è la versione più completa e per questo più ecumenica della professione di fede cristiana.
Mons. Brambilla ha volutamente iniziato il suo confronto tra i due testi presi in esame partendo dall’articolo su Gesù Cristo: «di solito – ha spiegato – nell’analisi si procede in ordine logico, iniziando da Dio Padre. Tuttavia l’esperienza è inversa: noi incontriamo Dio attraverso Gesù che ci dice che è il padre. Senza Gesù potremmo incorrere nell’immagine del Dio giudice, il Dio che punisce, Gesù invece ci dice come Dio è padre e come possiamo diventare figli imitando Gesù. Per questo si può entrare nella missione del figlio Gesù per entrare nel cuore della fede cristiana. L’articolo di Gesù Cristo, infatti, è il più ampio». Una piccola storia in miniatura della vita di Cristo dalla quale partire nell’approfondimento del Credo. Il simbolo Niceno – costantinopolitano è la “regola della fede” «la lente d’ingrandimento della Scrittura, il navigatore della Bibbia, la formula breve del Vangelo che non intende sostituire i vangeli, ma che ci porta attraverso le tappe della vita di Gesù in comunione con il mistero stesso di Dio». Un mistero che, come ha ben spiegato mons. Brambilla, non è tale perché incomprensibile, ma perché rappresenta la volontà di amore di Dio nei nostri confronti, nascosta ed ora rivelata, inesauribile. Un mistero al quale ci si può unicamente rivolgere con fede, «che possiamo intendere appunto tendendo verso Dio, affidandoci completamente a lui. Per capire bisogna credere».