Alcuni giorni fa un quarantenne nerd, o secchione, cinese dall’aria di uno studente squattrinato, Liang Wenfeng, è stato capace quasi di sbancare Wall Street, la Borsa americana, e di seminare il panico a Silicon Valley, la culla delle tecnologie mondiali, lanciando un rivoluzionario chatbot, o programma informatico basato sull’intelligenza artificiale, il Deep Seek V3 (ricerca profonda), molto migliore e molto meno costoso dei chatbot Usa come l’osannato ChatGpt della Open AI del mago Sam Altman. Per Washington, che si riteneva imbattibile nel settore high tech, è stato un trauma paragonabile a quelli del 1957, quando l’Urss mandò in orbita attorno alla Terra il primo satellite Sputnik, e del 1961, quando vi mandò il primo cosmonauta, Yuri Gagarin. Come si sentì superata da Mosca in un momento cruciale della Guerra fredda, così adesso essa si sente superata da Pechino in un momento cruciale della Guerra dell’AI o Intelligenza artificiale, guerra, si badi bene, segretamente in corso da vari anni tra le due superpotenze, con la la Russia e l’India temporaneamente dalla parte cinese, ma che ora è pubblica e che potrebbe decidere le sorti dell’umanità. Le apprensioni di Washington sono fondate: l’effetto di Liang Wenfeng sui mercati sa di una operazione di destabilizzazione decisa da Pechino, probabilmente la prima di molte.
Reazione cauta di Trump
A chi, come me, non è tecnologicamente ferrato, conviene ricordare che cosa sia un chatbot. E’ un programma che interagisce verbalmente con l’utente, come se fosse una persona reale, fornendogli informazioni, e ragionando con lui al punto da diventarne un assistente virtuale, ma che chiede una infinità di dati a chi si registra, una forma velata di spionaggio che ha spinto il garante della Privacy in Italia a bloccare questo prodotto cinese. Con i suoi 671 miliardi di parametri Deep Seek, la cui applicazione è gratuita, sembra il più avanzato tra i chatbot, ed è costato soltanto 6 milioni di dollari contro le centinaia di milioni di quelli americani, e i 500 miliardi del progetto Stargate della Open AI, della Oracle e della SoftBank. Che dietro a Deep Seek, poi scomparso d’improvviso dalla Apple, ci sia il governo cinese è confermato anche dal fatto che si autocensura, non rispondendo per esempio a domande sui diritti civili, e il suo scopo era certamente di dimostrare che i titoli tecnologici Usa sono sopravvalutati. La reazione di Trump è stata cauta, “meglio se si può spendere di meno”, ma intanto il Presidente ha aumentato le pressioni sull’Europa e sull’India affinché non forniscano microprocessori e tecnologie di punta alla Cina. Silicon Valley inoltre teme un calo degli investimenti, peraltro di nuovo in ascesa, e una grave bolla speculativa.
Pericolo per l’umanità
Bisogna riflettere sulla Guerra dell’Intelligenza artificiale, che sì è la prima senza armi tradizionali della storia, ma che è anche la più pericolosa per l’umanità perché non riguarda tanto il possesso di territori o di ricchezze quanto il possesso dei nostri cuori e delle nostre menti. Le cronache sono già piene di attentati e di frodi commessi tramite essa, e tutti sappiamo che può manipolare i nostri cellulari, computer ecc. a suo piacimento. Il numero dei privati esperti nell’adoprarla cresce in modo esponenziale e non c’è certezza che siano sempre persone per bene. Se i social sono già fattori di disordine, specialmente tra i giovani, immaginiamoci che caos l’AI potrebbe causare. Ma questo è il minore dei mali. Il male maggiore è che la Guerra dell’Intelligenza artificiale potrebbe seppellire la democrazia in Occidente e partorire quello che il francese Gilles Grezzani chiama tecnocesarismo, un impero al cui interno nuove e stupefacenti tecnologie e immense ricchezze si integrerebbero con le politiche di leader autoritari e aggressivi. E potrebbe trasformare la globalizzazione da abolizione delle frontiere e da libera circolazione di persone, di idee e di merci a sottomissione dei popoli e delle nazioni a un potere centrale intoccabile.
Tecnocesarismo cinese
Che il tecnocesarismo regni già in Cina è fuori discussione. Là, per il governo i guru tecnologici sono sorvegliati speciali, come Jiang Wenfeng e il fondo che lo ha finanziato, l’High Flyer Quant, con l’obbligo di contribuire all’attuazione delle mire espansionistiche del presidente Xi Jinping. Una prova della continua sfida cinese all’Occidente la fornì nel 2019 la pandemia del Covid generata, come ormai sembra appurato, da un incidente in un laboratorio per le malattie infettive che mise a dura prova la resistenza dell’America e dell’Europa, un campanello d’allarme per la Guerra della Intelligenza artificiale. Ma negli Usa il tecnocesarismo si è affermato solo alle ultime elezioni presidenziali con il connubio tra Donald Trump ed Elon Musk, che sogna di colonizzare Marte, attorno ai quali è sorta la cupola del “big tech”, le multinazionali come Amazon, Apple, Google e via dicendo, le fondamenta del trumpismo. E’ un’anomalia perché storicamente i governi americani combatterono sempre i monopoli, e nessun oligarca venne eletto Presidente, ma ha una spiegazione: l’incapacità della precedente amministrazione di Joe Biden di evitare il sorpasso cinese oltre che nella Intelligenza artificiale anche nello sviluppo delle energie alternative e delle nuove centrali nucleari, nonché nelle riserve di strategiche materie prime.
Rivoluzione tecnologica
Ogni rivoluzione socioeconomica porta grandi cambiamenti. In quella commerciale del Seicento e del Settecento, la Compagnia inglese delle Indie creò uno Stato nello Stato con una propria flotta e un proprio esercito, in un rapporto conflittuale con la Corona che finì per scioglierla. Oggi invece, il suo equivalente americano, cioè il blocco costituito da Musk, Jeff Bezos, Mark Zuckerberg e gli altri oligarchi, fa da motore alla macchina dello Stato. Nella rivoluzione tecnologica in corso non c’è rivalità bensì quasi una simbiosi tra l’industria e la politica, simbiosi vantaggiosa per la prima e dannosa per la seconda. E ciò lascia pensare che l’America supererà l’attuale trauma come superò i traumi dello Sputnik e di Gagarin perché attrae i più brillanti cervelli mondiali ed enormi capitali, ma non garantisce che rimanga una democrazia. Reale è il pericolo che nel confronto con la Cina gli Usa assurgano a un impero, e l’Europa è l’unica entità che potrebbe sventarlo. Se ci chiedessimo perché Trump continui a sbeffeggiare l’Unione Europea ma non più la Nato la risposta è questa: da un lato all’America fa comodo avere un’Europa in condizioni di sudditanza, e dall’altro le fa comodo avere una Nato da usare come braccio armato.
Una minaccia in se stessa
Contenere l’ascesa di un regime tecnooligarchico sotto la presidenza Trump non sarà facile. Il punto di partenza potrebbe essere una regolamentazione dell’Intelligenza artificiale condivisa anche dai giganti emergenti, analoga alla limitazione degli armamenti nucleari durante la Guerra fredda, una missione impossibile visto che non sappiamo regolamentare neppure la rete e i social. Occorrerà però fare qualcosa perché l’AI è una minaccia in se stessa: esiste infatti il rischio che nel giro di uno o due decenni sfugga al nostro controllo, come ammonisce Geoffrey Hinton, uno dei suoi padri fondatori e premio Nobel. L’AI si autosvilupperà a volte a nostro beneficio e a volte no, e le sue iniziative o il suo impiego potrebbero avere conseguenze imprevedibili sulla guerra cibernetica tra l’America e la Cina, che nasconde non solo le ricerche che conduce ma anche il loro fine, che non è sicuramente la salvaguardia della democrazia. E’ ora che l’Europa, alle prese con le beghe politiche interne ancora più che con la guerra dell’Ucraina e con le manovre di Putin, affronti il problema con le due superpotenze, nella consapevolezza che negoziare sull’Intelligenza artificiale sarà molto più complesso che negoziare sull’atomica, e che un giorno l’AI potrebbe alimentare il terrorismo, cosa che la bomba non riuscì mai a fare.
Il bunker di Xi
Gli incauti e gli ottimisti credono che ci sia ancora molto tempo a disposizione, e che comunque l’America stia già arginando la Cina. Citano la proposta di Trump alla Microsoft di Bill Gates di comprare la piattaforma e social interattivo cinese Tik Tok, con 170 milioni di utenti americani, su cui grava il sospetto che sia uno strumento di propaganda e di spionaggio di Pechino. E ipotizzano che l’incipiente tecnocesarismo si sfaldi a causa della megalomania di Trump e di Musk e delle rivalità tra i suoi tycoons. Ma il Presidente americano, appoggiato dalla nuova tecnocrazia, attacca alleati e avversari con dazi fino al 25 per cento, aprendo una guerra commerciale globale senza precedenti, e Xi Jinping costruisce un gigantesco bunker antiatomico, una città sotterranea, sotto Pechino, come se temesse l’apocalisse. Non è escluso che lo faccia perché si prepara a invadere Taiwan, che la Cina considera da sempre un suo territorio, e a resistere alla reazione di Washington, ma non è neppure escluso che lo faccia in vista di brutte sorprese da schegge impazzite in possesso di un’Intelligenza artificiale molto avanzata. Trump parla da mesi, ma l’assordante silenzio di Xi Jinping è ancora più preoccupante.
Rischio per gli Stati
Può darsi che si riesca a instillare i nostri valori umani nell’Intelligenza artificiale. Ma, se sì, non mancherà chi vi instillerà valori opposti. L’atomica non fu più usata dopo gli orrori di Hiroshima e Nagasaki. Ma se entro pochi anni non si firmeranno trattati sulla AI, non si creeranno istituzioni internazionali che la riguardino, e non si vareranno sistemi di verifica e controllo, più di uno Stato rischierà di essere devastato da essa.
Ennio Caretto