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La realtà e la speranza

Redazione di Redazione
20 Marzo 2020
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coronavirus
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Quanto sta accadendo ha sconvolto una società percepita fino a ieri come una sorta di paradiso terrestre diventato, tuttavia, non più tale causa un nemico invisibile difficile da sconfiggere: il virus che semina morte in tutto il mondo!

Al capezzale del Nostro Paese si sono avvicendati esperti, scienziati, virologi, politici, economisti, ecclesiastici, personaggi della spettacolo e della cultura. Ognuno, a supporto di un mondo sanitario tuttora in prima linea. Molte le ricette, diversi i consigli a volte contraddittori,a volte fiduciosi, perché la speranza, si sa, non muore mai. Quelli che muoiono, invece, sono classificati con la sigla “ncr” (non candidabili alla rianimazione) perché vecchi, spesso con patologie diverse “vuoti a perdere”, come qualcuno cinicamente li ha classificati. Fortunatamente, altri sono andati incontro a queste persone fragili ed indifese aiutandole e confortandole,con generosità, nelle loro necessità non solo fisiche. Un’attenzione, usuale per una santa (Madre Teresa di Calcutta) che alle sue consorelle ha inculcato il sentimento della “Pietas”, rivolto ai moribondi, agli emarginati e quanti sono scartati da una società, dove” L’IO “ prevale sul “Noi”. La dignità della persona umana, il diritto alla salute, meritano più rispetto di una sigla che evoca quei comportamenti paranoici riportati nella storia dell’umanità.

La nostra società, pur in situazioni così drammatiche, non può attivare quella pulizia etnica che ritiene necessaria per far posto a soggetti con maggiori speranze di vita, per motivi di bilancio. La stessa deve garantire una decorosa assistenza a tutti, evitando sofferenze fisiche e morali anche ai famigliari, ai quali non è concesso neppure il conforto della Chiesa: dove stiamo andando?

Il sociologo Emile Durkheim, nei suoi studi, aveva puntualizzato che nella società esiste una solidarietà meccanica ed una organica. Nella prima (di tipo rurale) il viatico è costituito da una valenza sociale impregnata di umanità rifacendosi al mutuo aiuto (es. la nascita di un vitellino, era un evento in grado di radunare i contadini per facilitare il parto della mucca che rappresentava un reddito). Nella seconda (quella di oggi), invece, si ricerca una forma più organizzata della solidarietà (attivando, per esempio, il volontariato) a supporto delle istituzioni, spesso assenti, quando non carenti.

Dopo aver scomodato il sociologo, la speranza oggi si colora di episodi positivi grazie al contributo di medici, infermieri e di quei giovani (ritenuti per lo più egoisti) che non sono l’eccezione, ma persone pronte nei momenti del bisogno. E la dimostrazione l’abbiamo già vista nelle calamità (inondazioni,terremoti,disastri ecologici) che ci hanno colpito nel passato anche recente.

C’è un altro pensiero positivo per il periodo che stiamo vivendo di “forzata reclusione” al fine di evitare il contagio, ed è quello dello psichiatra e psicoterapeuta Raffaele Morelli. Il fondatore dell’Istituto Riza di Medicina Piscosomatica invita a “cogliere l’occasione per riappropriarci di noi stessi…a non pensare sempre al virus perché questo stress va ad agire sul sistema immunitario. La paura del contagio favorisce il contagio”.

Il segnale è chiaro: quanto stiamo vivendo merita alcune riflessioni che ci portano a riconsiderare il nostro “vissuto” e il significato del nostro operato per qualcosa che vale. E’ la riscoperta di certi valori che si ritrovano nella famiglia,nell’educazione,nei sentimenti, negli affetti.

La speranza di “farcela” diventerà allora certezza se, accanto alle parole e alle manifestazioni collettive, si comprenderà che quanto stiamo vivendo sarà oggetto di un ripensamento collettivo nei comportamenti sociali.

Renato Celeste

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