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Un meccanismo europeo di (in)stabilità

Redazione di Redazione
26 Novembre 2019
in Prima Pagina, Primo Piano
europa
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europaRiparte il tormentone tra Roma e Bruxelles. Che il fuoco covasse sotto la cenere non era un mistero, ma che divampasse in occasione di un’inattesa polemica politica tra governo e opposizione e all’interno dello stesso governo ha sorpreso più d’uno.
La polemica è scoppiata nei giorni scorsi quando l’Italia aveva appena superato, per il rotto della cuffia, un primo esame sul progetto di legge di bilancio, in attesa di conoscere l’esito del travagliato iter parlamentare in corso e in vista di una più esigente verifica nella prossima primavera.
Quasi un fulmine a ciel sereno ha fatto irruzione il problema del Meccanismo europeo di stabilità (MES), un dispositivo in corso di elaborazione da tempo per regolare l’intervento del Fondo salva-Stati, dotato di circa 705 miliardi di euro per venire in soccorso, se necessario, a un Paese che si trovasse in difficoltà con le finanze pubbliche a fronte di crisi bancarie.
Che il tema possa interessare l’Italia non stupirà chi ne conosce l’alto debito pubblico, oggi stimato sopra il 136% del Prodotto interno lordo, e i rischi cui è esposto il nostro sistema bancario. I timori, largamente condivisi, riguardano l’applicazione di un eventuale intervento del fondo salva-Stati e i vincoli che ne deriverebbero per i “beneficiari”, potenziali “vittime”, agli occhi di molti, di una possibile ristrutturazione del debito, con pesanti costi anche per i privati, chiamati a pagare anch’essi un prezzo per una simile operazione.
Non sfugge a nessuno che sullo sfondo torna il fantasma della Grecia negli anni passati e il deprecato intervento della “Troika” – Commissione europea, Banca centrale europea e Fondo monetario internazionale – con le pesanti conseguenze che i greci conoscono bene e la minaccia balenata a tratti anche per l’Italia.
L’allarme per l’Italia è stato lanciato dall’opposizione, risvegliando all’interno del governo il Movimento Cinque stelle, ancora incerto sulle sue aperture verso una “sovranità europea” a fronte del “sovranismo” del suo recente alleato, la Lega, e affiancato dalla componente di sinistra del governo, mentre a gettare acqua sul fuoco ci pensava il “pompiere” partito democratico, anche per non indebolire ulteriormente il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte.
Come sempre, quando la confusione è grande sotto il cielo, l’occasione può essere buona, se non altro a cercare di capire qual è la posta in gioco. Diciamolo subito: in gioco è la solidarietà europea, le condizioni del suo esercizio e la responsabilità di chi ne deve assicurare il governo.
Un perno centrale della solidarietà nell’eurozona è la moneta unica che l’Italia condivide con altri 18 Paesi, le condizioni per il suo esercizio sono i vincoli che abbiamo liberamente sottoscritto e la cui applicazione è in carico all’Autorità a questo delegata, in prevalenza di dimensione intergovernativa.
Nel caso del Fondo salva-Stati, responsabile dell’eventuale intervento di soccorso, è lo stesso istituto del MES, a dominante intergovernativa, cui spetta valutare la situazione, dialogando con la Commissione e il governo interessato per evitare automatismi.
Nel quadro di un raffreddamento globale dell’economia e con un rischio di recessione all’orizzonte è normale che le Istituzioni europee vogliano attrezzarsi con strumenti di prevenzione in caso di crisi. Restano da discutere le modalità di intervento del meccanismo di stabilità, la trasparenza nella loro attivazione e i nuovi equilibri che si verrebbero a determinare nella regolamentazione dell’eurozona, in assenza ancora di un bilancio proprio per quest’ultima e del completamento dell’unione bancaria, in attesa inoltre di una revisione del Patto di stabilità: tutti elementi intrecciati tra di loro.
E’ noto che l’Italia preoccupa i nostri partner, consapevoli che l’impatto finanziario in caso di una crisi sistemica italiana non è comparabile a quello della Grecia; un “caso” che però dovrebbe preoccupare ancor più i politici italiani, tanto al governo che all’opposizione, ma tutti tentati di rimandare a domani la riduzione del debito pubblico, in un clima di campagna elettorale permanente, come rivela ancora la vicenda in corso della legge di bilancio, sintomo chiaro dell’instabilità politica italiana.
Franco Chittolina

 

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