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Votare per, votare contro, o tenersi fuori

Redazione di Redazione
22 Giugno 2016
in Direttore, Editoriale
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In Piemonte, al ballottaggio di domenica scorsa Partito Democratico e Centrosinistra hanno perso in tutte le 8 città in cui erano ancora in corsa con un proprio candidato sindaco, sconfitti da liste di sinistra, centro destra e penta stellate. Bene però nella gran parte degli altri comuni. Particolarmente brucianti le sconfitte a Torino, dove tuttavia Fassino aveva lavorato bene e a Novara. D’altra parte in tutta l’Europa il disagio delle famiglie alimenta una reazione a catena di populismi ed egoismi che punisce sempre più chiunque governa, il tutto reso più complicato dal fatto che quasi il 50% degli elettori non si è sentito di fare una scelta.

Soprattutto si è manifestata l’alleanza di tutti i partiti contro il partito fin qui più numeroso, il PD, che nelle grandi città vince di misura a Milano e conferma con qualche difficoltà Bologna con un candidato della vecchia guardia. Si scioglie la destra e la Lega fa un cattivo risultato.

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Qualcuno ha ipotizzato che è stato il risultato della rivolta della classe media che si è orientata sul M5S che si è reso credibile anche se ha detto quasi sempre no e ha espulso i dissidenti per conservare un sogno utopistico che potrebbe ora in qualche maniera realizzarsi avendo messo la bandiera su due città importantissime, Roma ormai al tracollo e Torino di grande importanza economica e sociale.

Ma è più vera un’altra considerazione: che i demiurghi, gli uomini della Provvidenza, siano Mussolini o Stalin, Di Pietro o Berlusconi, Grillo o Renzi, appartengono al passato. Non abbiamo bisogno di partiti personali, ma di partiti di idee e valori, in cui convivano le sfumature, si elabori un progetto in gruppo ma non si perda la propria appartenenza originaria per il desiderio di raccogliere il consenso di chiunque.

Sì, rimpiangiamo lo stile dell’Italia del 1948 che aveva progetti in grande e non di piccolo cabotaggio, quella in cui DC e PCI proponevano scelte contrapposte ma chiare che scaturivano dalle ideologie e formavano una classe dirigente competente e sensibile socialmente e poi si confrontavano. Questa è la democrazia!

Papa Francesco si chiede e ci chiede:  “Qual è il posto della politica? … dobbiamo convincerci che rallentare un determinato ritmo di produzione e di consumo può dare luogo a un’altra modalità di progresso e di sviluppo … Non basta più parlare solo dell’integrità degli ecosistemi. Bisogna avere il coraggio di parlare dell’integrità della vita umana, della necessità di promuovere e di coniugare tutti i grandi valori … abbiamo bisogno di «cambiare il modello di sviluppo globale» e ridefinire il progresso”.

La politica non può più essere quella che oggi ci viene presentata. Ma riforme, superamento delle difficoltà economiche, sviluppo economico e ambientale, partecipazione popolare, attenzione al territorio, ecc. devono essere fortemente innovativi e devono preoccuparsi, per quanto ci riguarda, di tenere unito il territorio.

E per i credenti (quindi anche per le nostre comunità) ritornare a pensare insieme e confrontarsi anche su queste problematiche complesse e a volte divisive. La comunità ecclesiale non può più restare alla finestra o delegare; ma, senza tornare a collateralismi pericolosi e antistorici, deve tornare a formare donne e uomini capaci di assumersi responsabilità pubbliche, alla luce della loro fede e in autonomia responsabile.

Ora la riflessione deve aiutare tutti a un nuovo modello. Spero che prima del referendum costituzionale si possano cambiare in esso le parti più discutibili. Resto convinto che il maggioritario per collegi a doppio turno sarebbe la soluzione migliore e che l’abolizione netta del Senato con riduzione di parlamentari alla Camera sarebbe la più efficace.

p.b.

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