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COMMENTO AL VANGELO

Redazione di Redazione
7 Ottobre 2015
in Cittadina, Religione, Segni dei tempi, Vita della Chiesa
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Straordinaria follia della Croce

Letture: Is 50,5-9a; Sal 114; Gc 2,14-18; Mc 8,27-35

Arriviamo questa domenica al cuore centrale dell’evangelo di Marco, allo “spartiacque” che come uno zenit giunge a compimento di tutta la prima metà del testo per diventare punto di riferimento per ciò che ne seguirà. Gesù viene riconosciuto come il “Cristo”, l’Unto del Signore. Pietro, che dà voce alla coscienza del collegio apostolico, risponde alla terribile e meravigliosa domanda di Gesù: “Voi, chi dite che io sia?” e nel farlo determina il primo compimento all’attestazione che apre la buona novella descritta da Marco (“Inizio del vangelo di Gesù, Cristo, Figlio di Dio”). Il secondo e definitivo compimento sarà affidato al centurione romano che riconoscerà la divinità del Nazareno appeso alla Croce. Non è un caso quindi che alla luce dell’appassionato e commovente atto di fede dei discepoli Gesù inizi a parlare apertamente del sacrificio che lo aspetta presso il Calvario. La Croce viene quindi prevista e proclamata solennemente da Colui che dovrà affrontarla e che in tal modo potrà offrire se stesso nella pienezza del suo essere Figlio e Servo del Padre, secondo le parole del profeta Isaia. Essere il Messia significa questo, significa farsi oblazione vivente al Padre per la vita dei fratelli, nella prospettiva di versare il proprio sangue perché l’umanità venga redenta. E questo Pietro… proprio non riesce a digerirlo. Lui, così infiammato da quella meravigliosa rivelazione, così innamorato di quel Maestro che lo ha scelto e che lui ha scelto… non può vedere nella condanna, nel rifiuto, nella Croce, la pienezza di tutto ciò che era stato annunciato dai profeti e prospettato dalla Legge. E in fondo… ha ragione. Ma quello che Pietro non comprende, quello che tante volte anche noi non comprendiamo è che Gesù non ci salva in virtù della propria sofferenza fisica o nel fatto che subisca un’umana ingiustizia. Ciò che nel mistero della Croce diventa salvezza e speranza per l’intera umanità è l’Amore con il quale Gesù affronta il dramma abissale di un’umanità che uccide il proprio Dio. Gesù non “cerca” la sofferenza e la morte quasi fossero queste ultime a determinare la nostra salvezza. Non vi è nulla di oggettivamente buono nel dolore e nel rifiuto da parte degli altri e questo il Signore lo sa bene. No, Gesù offre se stesso alla tragicità dell’ingiusta condanna, della sofferenza e della morte in Croce per vivere in se stesso la piena obbedienza al Padre. Vivere la verità dell’Amore in maniera totalmente gratuita, addirittura mettendo la propria esistenza nelle mani di chi vuole negartela, per poter compiere la Volontà di Dio. Questa e solo questa è la vera offerta capace di perdonare le nostre colpe e liberarci dal peccato. Ed è esattamente questa ciò che Gesù chiede anche a Pietro. Quel “Va dietro a me” detto a Pietro e così felicemente tradotto nella nuova versione del Lezionario non è quindi da intendersi come una cacciata, un allontanamento, ma al contrario come un invito a seguire le orme tracciate dal Cristo, l’unico capace di impedire al discepolo di rimanere un “satana” cioè un nemico del progetto di Dio e quindi di se stesso. Ecco la sublime, meravigliosa follia della Croce. Ecco l’Amore più forte del male e della morte. Ecco la Buona Notizia che siamo chiamati a vivere ogni giorno confidando nel Crocifisso Risorto che ci chiede di “perdere”, cioè di sacrificare la nostra vita nel suo nome perchè possa essere davvero in pienezza una vita eterna. O Padre, conforto dei poveri e dei sofferenti, non abbandonarci nella nostra miseria: il tuo Spirito Santo ci aiuti a credere con il cuore, e a confessare con le opere che Gesù è il Cristo, per vivere secondo la sua parola e il suo esempio, certi di salvare la nostra vita solo quando avremo il coraggio di perderla. Per il nostro Signore Gesù Cristo, tuo Figlio, che è Dio, e vive e regna con te, nell’unità dello Spirito Santo, per tutti i secoli dei secoli.

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