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L’Italia deve restare europea

Redazione di Redazione
17 Agosto 2019
in Editoriale, Prima Pagina
L’Italia deve restare europea
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Nell’incertezza delle mosse tattiche, resta la certezza che, non da oggi, il problema della politica italiana non è sul fronte della domanda, ma dell’offerta. Non a caso gli elettori cambiano ormai facilmente da una elezione all’altra, sono le alternanze per disperazione. Siamo alle prese con una questione sociale di tipo nuovo, che è quella ambientale, ma soprattutto quella dello smarrimento ideale, morale, economico e dunque politico dell’ex-ceto medio, dalle conseguenze imprevedibili. Misuriamo infatti, nel tessuto sociale un crescente tasso di violenza – facilmente strumentalizzabile – che ha invece bisogno di risposte strutturali di speranza e di impegno comune.

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Rocambolesca come era cominciata, così è finita la storia del governo “del cambiamento”, fondato su un “contratto” tra due partner tra loro molto distanti anche se accomunati come forze “populiste”. Aggettivo peraltro da maneggiare con grande cura, come ha detto con chiarezza Papa Francesco nella sua ultima intervista a Vatican Insider.
L’inevitabile fine del governo Conte si consuma con modalità del tutto inedite, che ancora una volta sottolineano la grandissima debolezza del quadro politico italiano e soprattutto degli attori, tutti. Anche quando sembrano forti tradiscono la grande precarietà del nostro sistema.

Questa è la questione strutturale, preliminare, che bisogna avere molto chiara, prima di interrogarsi sulle prospettive a brevissimo termine.

Punto fermo è che l’Italia resti europea

Il punto resta l’Italia europea. La più grande apprensione relativamente a possibili elezioni anticipate è che queste ci possano ulteriormente e subdolamente allontanare dall’Unione. Pesano le estemporanee uscite di alcuni esponenti leghisti come quelle sui cosiddetti minibot, l’incertezza sulle direttrici di politica estera, il Russiagate all’italiana.
Dunque il primo ed essenziale punto è che tutte le forze in campo diano precise, esplicite e formali garanzie di non impegnare l’Italia in pericolose avventure queste sì populiste, in salsa sudamericana. Questo è il vero pericolo, il motivo di preoccupazione strutturale. Fortunatamente il robusto vincolo esterno era stato immaginato da Giulio Andreotti e da Guido Carli, nell’ormai lontano 1992, proprio come un solido ancoraggio di un’Italia che aveva ormai perso la stabilità politica garantita dal Muro di Berlino. In positivo inoltre questo significa anche la necessità che l’Italia giochi il proprio ruolo, senza velleità, ma facendo pesare il suo oggettivo rilievo. Molto può fare un governo serio, coeso e stabile.
Eccoci allora alle complesse prospettive nell’immediato.

Attesa la fine del governo Conte sarà ovviamente il presidente della Repubblica a trarne le conseguenze, conferendo l’incarico per un prossimo esecutivo. Sia esso un governo di garanzia elettorale, oppure compaia improvvisamente una solida prospettiva di una nuova alleanza, diranno le trattative di queste ore, tra le forze politiche.

Nell’incertezza delle mosse tattiche, resta la certezza che, non da oggi, il problema della politica italiana non è sul fronte della domanda, ma dell’offerta. Non a caso gli elettori cambiano ormai facilmente da una elezione all’altra, sono le alternanze per disperazione. Siamo alle prese con una questione sociale di tipo nuovo, che è quella ambientale, ma soprattutto quella dello smarrimento ideale, morale, economico e dunque politico dell’ex-ceto medio, dalle conseguenze imprevedibili. Misuriamo infatti, nel tessuto sociale un crescente tasso di violenza – facilmente strumentalizzabile – che ha invece bisogno di risposte strutturali di speranza e di impegno comune. Per questo serve, con coerenza e forza, la precisa garanzia, da parte di tutti, di un’Italia europea nel senso non mercatista, ma alto e nobile del termine.

Francesco Bonini

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